campocroce

Campocroce Erika Reginato


Scrive il professore Zordan nella mia presentazione a Crespano del Grappa in Novembre del 2010:

Campocroce è la poesia del ritorno: e il ritorno crea il cerchio. E’ la poesia del viaggio a ritroso nella terra dove sono vissuti e da dove sono partiti gli antenati: è la riconciliazione con questa terra che appartiene alla memoria del sangue e si ricompone il suo corpo a pezzi. Si avverte quasi un rimorso per essersi staccata ma Campocroce la accoglie, non è più il luogo lontano, ma bara, urna che abbraccia, “ è il terreno dell’incontro e del dialogo”.

La guida, l’intermediaria fra i vivi e i morti è la zia Lena, che “ha parola senza voce con la gola secca, alla quale, nella lirica Estate si rivolge per chiedere “ Dimmi… la storia del mistero dell’albero della casa che non cadrà nei secoli”. “Ricordami…” semplici, quotidiane, intime scene di vita dell’infanzia: così preziose per creare i legami con i morti e i suoi morti allora “staranno in pace nei quadri”.

E nel “Giorno di san Giuseppe”, finalmente può dire: Padre sono nel paese della tua infanzia

A Campocroce (v.la lirica C.) ha un appuntamento con il nonno alla chiesetta, il nonno che qui ha combattuto la guerra partigiana. Delicato richiamo, senza retorica al sacrificio dei caduti. “Il nonno copre i morti…accende candele bianche”.

E dopo Campocroce, Cima Grappa: sale con il suono delle campane che annunciano il funerale. Di chi? Del nonno? La trasposizione di tempi e luoghi rende difficile inseguire il flusso di coscienza e di emozioni che sprofondano rendendo vivo il passato e che, con i piedi formicolanti, introducono nel mistero dell’aldilà, a giocare con Dio. “Appoggiata al muro, osservo…” E’ il muro montaliano del “meriggiare pallido e assorto”: a Cima Grappa, nella meditazione illuminata dalla luce filtrata dai rami, nel profumo del vento che paralizza, nel silenzio dei tremiti, cerca spiragli verso la trascendenza, risposte al travaglio dell’esistenza. La poesia di E. R. sfiora il limite, si affaccia alla soglia, evoca l’invisibile, il mistero perché di là ci sono le risposte, ci sono i suoi cari. Ritorno “Adesso comprendo che la morte non distrugge, che vigila solamente l’amore al tramonto, salpa da questo molo arriva al centro dell’oceano”.

Anche Erika Reginato assolve al compito del poeta di essere il custode del mistero che sta oltre le cose, mistero che si svela e si nasconde, perché la sua profondità è un abisso mai sondabile del tutto. Ciò che E. R. cerca sono le eterne risposte che l’esistere pone, il varco per accedere al mondo degli antenati. La poesia spalanca mondi, esplora regioni dove la vita non è che mormorio indistinto, non ancora riscattato dalla parola, lascia intravedere ciò che nessuna parola è in grado di nominare, ma che nella parola risuona. Come può venire alla luce il mistero del reale e della vita se non attraverso giochi d’ombre e allusioni? Non bisogna rinunciare a credere che dietro le cose ci sia un segreto che ne spieghi finalmente il senso, al quale si accede solo con il sentimento, l’emozione, la commozione. Il poeta è colui che trova la parola rivelatrice e poi la dona, offre una qualche illuminazione, un nulla, ma che è molto perché il mondo cui accede l’emozione è inesauribile, infinitamente più vasto del mondo della ragione.

E concludo con la lirica di Ungaretti, il poeta tanto caro a E. R.

Il porto sepolto

Vi arriva il poeta

e poi torna alla luce 

con i suoi canti

e li disperde

Di questa poesia

mi resta

quel nulla

d’inesauribile segreto.

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